Minimamente invasiva: la crescita degli ossimori in odontoiatria

PERIO FOR THOUGHT - July 01, 2020


L'incremento dell'utilizzo del termine "odontoiatria minimamente invasiva" negli ultimi anni non è passato inosservato a tutti noi. Pubmed lo mostra molto chiaramente: c'è stata una crescita esponenziale che evidenzia la presenza di quasi 200 manoscritti all'anno negli ultimi 5 anni. Come innumerevoli altre volte, la nostra amata parodontologia è stata in prima linea in questi cambiamenti.

“Minimamente invasiva”: la crescita degli ossimori in odontoiatria

Negli ultimi anni, la minima invasività è diventata parte integrante della mia pratica clinica al punto che alcuni concetti sono applicati come routine incontestata, come l'uso di lembi minimamente invasivi. In effetti, progetto sempre un intervento chirurgico come "minimamente invasivo", e passo all’uso di lembi tradizionali solo dopo una accurata analisi costi-benefici.

Quali sono i vantaggi della chirurgia parodontale minimamente invasiva?

I benefici sono senza dubbio in termini di efficacia clinica e morbilità del paziente. Non sorprende che la ridotta estensione chirurgica sia stata significativamente associata a un livello inferiore di morbilità post-chirurgica. Ciò che è stato sorprendente all'inizio, è il miglior risultato ottenuto con l’utilizzo dei lembi in termini di guarigione clinica, quando invece ci saremmo aspettati un risultato più o meno identico all’uso di quelli convenzionali. Le prestazioni dei lembi minimamente invasivi sembrano essere associate ad un miglior guadagno in termini di attaccamento clinico dopo il debridement chirurgico nel caso di un difetto infraosseo, come riportato dal nostro gruppo (Graziani et al., 2012), in media di circa 4 mm a 12 mesi dall'intervento chirurgico.

Inoltre, come già evidenziato dai 2 gruppi di ricerca che hanno lanciato lembi parodontali minimamente invasivi, Cortellini e Tonetti con la tecnica minimamente invasiva modificata (Cortellini e Tonetti, 2009) e Trombelli et al. con l'approccio del lembo singolo (Trombelli, Farina e Franceschetti, 2007), l'efficacia dei lembi è significativa nella misura in cui il lo è il valore aggiunto del materiale rigenerativo. Le ragioni sono principalmente biologiche - come tutto in chirurgia, oserei dire. L'uso di lembi di conservazione della papilla è associato a un maggiore flusso sanguigno nell'area interdentale, che molto probabilmente può essere correlato a un livello più elevato di chiusura per prima intenzione (Retzepi, Tonetti e Donos, 2007). Di conseguenza, questa protezione della ferita può consentire la maturazione del coagulo di sangue, specialmente durante le prime fasi critiche della guarigione. Lavorare con il massimo rispetto per la papilla produce anche benefici in altri tipi di difetti, come i difetti orizzontali sovra-ossei noti per essere particolarmente impegnativi (Graziani et al., 2014).

Ma quali sono i principi della chirurgia minimamente invasiva (CMI)?

Molti aspetti uniscono tutti i vari principi della CMI:

  • Rimozione ridotta del tessuto / estensione del lembo. Uno degli aspetti fondamentali dell'odontoiatria minimamente invasiva è l’approccio a "rimuovere meno". Che si tratti di una preparazione per una faccetta o di una strumentazione radicolare, il motto "meno è, meglio è" ne è il  fil rouge. Pertanto, negli ultimi anni tutti gli sforzi sono stati fatti per garantire la stessa efficacia, pur con una manipolazione ridotta.
    La chirurgia minimamente invasiva si basa anche sull'accesso ridotto all'area. Sia che questo comporti una ridotta apertura del lembo in termini di estensione dell'esposizione dell'area chirurgica o lasciare intatto un lato dell'area chirurgica, ovvero l'elevazione del lembo su un solo lato - vestibolare o linguale, il CMI riduce senza dubbio l'invasività dell'intervento chirurgico.
  • Lasciate stare le papille! (in Parodontologia). La minima invasività in parodontologia sta fondamentalmente convergendo verso un importante aspetto chirurgico: non toccare le papille. In effetti, tutti gli interventi chirurgici mirano alla manipolazione procedurale sotto la struttura papillare. Questo si basa, solidamente, sul fatto che in un difetto infraosseo, uno dei due lati della papilla potrebbe ancora mostrare un certo attacco del tessuto connettivo sano e quindi fornire un supporto per la guarigione che dovrebbe ridurre l'eventuale contrazione post-chirurgica.
  • Biologicamente sicuro. Il ricorso alla chirurgia dovrebbe tradursi in una guarigione biologicamente più “amichevole”. In CMI questo si pensa che sia raggiunto principalmente attraverso una maggiore stabilità del coagulo di sangue (oserei dire una “chimera” nella chirurgia parodontale, a causa della presenza di una superficie radicolare scivolosa nel mezzo della ferita).
  • Ingrandimento. L'affidarsi esclusivamente ai propri occhi non consente di essere un eccellente parodontologo. Questo è diventato un mantra della parodontologia moderna (e ormai, di tutta l'odontoiatria). La parodontologia minimamente invasiva beneficia notevolmente dall'uso degli ingrandimenti. La minima invasività impone al medico di sfruttare un ingrandimento più elevato per compensare un controllo visivo inferiore dell'area chirurgica in questione.
  • Strumenti di precisione. Noi dentisti parliamo molto di strumenti e lo facciamo con grande piacere. In tutta onestà, a volte ho la sensazione che gli strumenti siano al centro della scena, piuttosto che l'obiettivo del trattamento. Ciò non sorprende poiché siamo persone pragmatiche, sistemiamo e adeguiamo le cose: quindi gli strumenti sono di importanza cruciale. La CMI si basa su strumenti micro-mini utilizzati per manipolare le aree nascoste tra lembi elevati il minimo possibile, delicatamente e con grande cura.

Abbiamo bisogno della CMI?

La risposta, sebbene non difficile, non è del tutto evidente. In generale, sì, credo di sì. La medicina e la chirurgia hanno subito enormi e importanti cambiamenti nel secolo scorso. Molti dei cambiamenti nelle procedure chirurgiche sono passati dall'essere invasivi ed estesi a attenti al dettaglio e altamente precise. Ciò suggerisce anche che la maggior parte di ciò che abbiamo eseguito in passato con grande fiducia e certezza, ora può essere considerato addirittura un trattamento eccessivo.

Qual è il futuro della chirurgia minimamente invasiva?

La complessità che ho riscontrato è quella di definire chiaramente dove si trova il giusto bilanciamento: quanto possiamo spingerci oltre questa riduzione dell'invasività? Qual è il punto oltre il quale il rischio di eseguire un trattamento inefficace diventa rilevante? Ovviamente, solo una ricerca clinica ben progettata ci potrà fornire delle risposte. Tenendo presente questo, dobbiamo essere pronti ad accettare il fallimento e il rapido cambio di opinioni.

Un altro aspetto cruciale è che possiamo ridurre al minimo l'invasività, ma non possiamo minimizzare le difficoltà di prestazione. Mentre a prima vista può sembrare facile, alle volte può diventare al contrario un processo inefficace se non si sono provati prima gli approcci convenzionali. La minima invasività come, ancora una volta, è un viaggio verso una maggior consapevolezza. Qualcosa che accade e si svolge lavorando tanto e passando inevitabilmente anche attraverso errori.

Ancora più importante, stimolo tutti a fuggire dalla "freddezza" e dalla "moda". È possibile che non tutto possa diventare minimamente invasivo. In effetti, la minima invasività è un ossimoro - cioè una figura retorica mediante la quale una locuzione produce un effetto incongruo, apparentemente contraddittorio. Dobbiamo ancora essere invasivi, ma cerchiamo di farlo al minimo. Saremo veramente minimamente invasivi solo il giorno in cui troveremo la pillola magica per controllare la malattia.

minimally invasive dentistry


Letteratura e letture consigliate:

Cortellini, P., & Tonetti, M. S. (2009). Improved wound stability with a modified minimally invasive surgical technique in the regenerative treatment of isolated interdental intrabony defects. Journal of Clinial Periodontology, 36(2)(2003), 157–163. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/19207892/

Graziani, F., Gennai, S., Cei, S., Cairo, F., Baggiani, A., Miccoli, M., … Tonetti, M. (2012). Clinical performance of access flap surgery in the treatment of the intrabony defect. A systematic review and meta-analysis of randomized clinical trials. Journal of Clinical Periodontology, 39(2), 145–156. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22117895/

Graziani, F., Gennai, S., Cei, S., Ducci, F., Discepoli, N., Carmignani, A., & Tonetti, M. (2014). Does enamel matrix derivative application provide additional clinical benefits in residual periodontal pockets associated with suprabony defects? A systematic review and meta-analysis of randomized clinical trials. Journal of Clinical Periodontology, 41(4), 377–386. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/jcpe.12218

Retzepi, M., Tonetti, M., & Donos, N. (2007). Comparison of gingival blood flow during healing of simplified papilla preservation and modified Widman flap surgery: A clinical trial using laser Doppler flowmetry. Journal of Clinical Periodontology, 34(10), 903–911. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/17850609/

Trombelli, L., Farina, R., & Franceschetti, G. (2007). Uso di un solo lembo in chirurgia ricostruttiva. Dental Cadmos, 8, 19–26. http://dentalcadmos.ecm33.it/cont/default-approfondimento/approfondimento-68all1.pdf